L'occhio dell'ignorante

             una visita al MAXXI di Roma



Entrando a sinistra  si nota un’elegante carrozza nera: strano, mi sono detto, è   un oggetto fuori contesto. Guardo poi all'interno. Sul sedile una palla biancastra. Si tratta di  Mozzarella in carrozza:  “opera geniale del geniale Gino De Dominicis (1947-1998), ironico pioniere dell’assurdità del vivere e del morire”. Cosi  recita l’esperto.


La struttura del Maxxi è  accattivante, piena di contrasti dinamici che la rendono un luogo ideale per un progetto espositivo.


Dall'esterno si vede un ambiguo e anche un po’ preoccupante  abbraccio di una struttura modernissima, su un’onesta  e  non particolarmente mirabile palazzina in stile primo Novecento.  Un po’ come certe liane che strozzano gli alberi nella giungla, ma con un approccio decisamente più  gentile.  L'interno è  molto movimentato.   Si capisce subito che il luogo ha enormi potenzialità  ed il dilemma è  proprio come verranno sfruttate.  Da questo dipenderà anche il suo futuro.



Da un punto panoramico dell'edificio si vede, in questi giorni, in basso, un enorme MEMENTO HOMO:  la calamita cosmica  sempre dello  stesso geniale etc. etc..  Si tratta di un enorme scheletro con il naso da Pinocchio e una specie di penna dorata in mano. Un certo effetto devo dire lo fa, non fosse altro per le  sue mostruose  dimensioni, ma la mia reazione spontanea  è  stata ben diversa:


Sarebbe stato infinitamente meglio se al posto della calamita cosmica  ci fosse stato   uno scheletro di dinosauro, un contatto con il reale invece che con le nevrosi di un’epoca, un qualche segno, invito o promessa di un futuro museo di storia naturale o della scienza, di cui c'è  un disperato bisogno a Roma.


Invece no, parliamo di   “arte contemporanea”, un concetto abbastanza ambiguo  nella sua dimensione temporale e purtroppo anche nei contenuti. 


Usualmente evito accuratamente l'arte contemporanea, perché  la ritengo piena di troppe cose insensate, a parte rare eccezioni  che spesso rischiano di essere soffocate e banalizzate dal prevalere delle prime,  ma ogni tanto non posso evitare di confrontarmi  con alcune opere, proprio perché le giudico semplicemente idiote e mi chiedo se non sia proprio nella loro idiozia e puerilità  il vero contenuto artistico.


Continuando nella visita si vedono ciabatte e cappelli, un paio di grate che forse vorranno  far riflettere il distratto visitatore sull’esperienza della prigione.  Non saprei, ma che abisso con le cose serie, per esempio il meraviglioso museo dell'Apartheid a Johannesburg: lì veramente si ha un'esperienza totale dei drammi dell’umanità.  Poi il muro del pianto  formato da vecchie valige,  mi pare proprio un dejà vu. In un contesto appropriato, tipo Ellis Island o un museo dell’immigrazione, avrebbe anche un suo effetto, ma fuori contesto è irrilevante.


Poi un   video geniale,  in cui si vede sempre il De Dominicis che mima un uccellino e poi salta…senza purtroppo sfracellarsi. Credo che tutti noi in qualche momento dell’infanzia lo abbiamo fatto e  certo mai ci sarebbe  venuto in mente che per questa sfida dell'impossibile  saremmo potuti finire in un museo, semmai in castigo, se lo facevamo a scuola.


Devo confessare che il mio temperamento romano evocava dal cuore parole appropriate, nella lingua del Belli, a commento di queste genialità,  ma avevo sulla giacca la cimice dell’Accademia  e quindi la mia faccia ha assunto l'espressione che si immagina avessero un tempo quelli che guardavano Medusa, oppure oggi, dopo alcune migliaia di Ohm  in un convento tibetano.   Uno sforzo, visto che continuamente risuona la  beffarda risata dall'oltretomba   del sempre geniale etc.etc. Un vero ulteriore supplizio  per il visitatore. 


L'impressione globale è  di una totale irrilevanza e banalità, proprio nulla di nulla di nulla.   Poi, per fortuna,  si passa a una sala dedicata a Moretti e la musica cambia. Si può  seguire  un secolo di architettura, si ritorna  nel mondo reale e anche l'interesse e le emozioni  sono forti e reali.


Sono uno scienziato e non posso fermarmi alle impressioni, quindi rifletto. Questi musei, queste mostre sono ormai parte della vita da decenni, più o meno in tutto il mondo occidentale. Chi le guarda? Chi le finanzia?  Chi ci si appassiona?  Non sarà  forse una barriera di linguaggio che me ne  vela il vero significato?


Cerco sempre di rispondere con onestà, dopo tutto un matematico non dovrebbe parlare, i nostri lavori sono del tutto incomprensibili a chi non abbia avuto una lunga e  faticosa  preparazione, eppure non  riesco a convincermi.  Non c'è  bisogno di essere specialisti per capire che le arti figurative non sono solo legate al bello.


Certo provo una forte emozione di fronte all'annunciazione di Simone Martini o al  Bacco di Caravaggio ma ricordo anche un impressionante affresco Mochica,  con una processione di prigionieri con i testicoli sanguinanti. Il tema era il potere  dei vincitori e la morte dei vinti. Oppure un misterioso giardino Zen, prodotto di una civiltà  del tutto aliena, che tuttavia, in un momento,  crea una forte e misteriosa scintilla di comunicazione.


Ricordo una delle emozioni più  profonde, guardando il frontone del tempio di Zeus nel museo di Olimpia.  Per un attimo ho avuto l'impressione di entrare in contatto con quegli uomini che più di 2000 anni fa  avevano impresso la loro vita,  il loro spirito su quelle pietre. Lo stesso entrando in una tomba nella valle dei Re.


Ma anche un colorato ed ambiguo Ganesh, i Totem del British Columbia, una statua di Quetzalcoatl, in cui si mescola la grazia dell'uccello con la ferocia del serpente, tutte opere che ci trasmettono emozioni, ci mettono in contatto con culture e popoli ormai scomparsi o visioni della realtà  a noi aliene.


Poi c' è anche l’orrore, e non parlo di arte moderna.  Certe pitture che si trovano in chiese o conventi del Messico o del Perù, sadiche o funeree,  fatte per spaventare e soggiogare gli indios o forse solo le monache e i frati. Ecco, in uno di quei conventi,   un’opera di  De Dominicis avrebbe senz'altro un effetto liberatorio.  Poi c'è  il banale e  anche il decisamente volgare e brutto di tanti figurativi.


Comunque non trovo risposta a quale sia il senso di queste opere nella nostra  cultura. Ricordo che quando ero studente a Chicago ebbi l'occasione di conoscere Emilio Vedova. Con la  mia usuale impertinenza gli chiesi perché  fermarsi ai plurimi e non mescolare direttamente scultura, pittura e tutte le forme di espressione?  Di fatto  non mi dette alcuna risposta,  eppure certe composizioni dell’arte popolare messicana fanno proprio questo, spesso con risultati notevoli, per non parlare ovviamente delle scenografie.


Poi ci sono i critici d'arte, alcune delle loro analisi mi ricordano i fumetti di Paperino.  Ma forse la  ragione va ricercata altrove. Come si maligna che un bravo avvocato è  quello che riesce a fare assolvere il colpevole  il bravissimo critico è forse quello che riesce a far passare l'irrilevante per arte?

Iudex qui facit de albo nigrum et de quadrato rotundum?





Posso porre il problema anche in altro modo, con l’architettura.  I nuovi edifici sono spesso origine di grandi controversie, di cui si capisce la ragione. Mentre un’opera di DeDominicis la si vede solo se se ne ha veramente voglia, un edificio può cambiare anche profondamente il contesto urbano.  Con il tempo di solito queste grandi controversie  si spengono e molti prodotti architettonici diventano addirittura delle icone simboliche dei luoghi  in cui sono  costruite: la Tour Eiffel o l'opera di Sidney,  tanto per fare qualche esempio ben noto.


In genere gli edifici reggono all’usura del tempo, che al più li banalizza, e credo che in fondo la spiegazione  sia semplice.  L'architetto ha dei vincoli precisi, prima di tutto il suo edificio deve restare solidamente in piedi, poi  deve essere adeguato alle funzioni che dovrà  svolgere.  Immagino che la decadenza della nostra civiltà  inizierà  quando gli architetti incominceranno a progettare macerie.


Si arriva dunque rapidamente al nocciolo della questione: quale è  la committenza e quale la funzione  dell'arte contemporanea?


Io non ho mai creduto nell'arte pura, così come non è  pura la scienza, almeno nel senso che la grande scienza non è  il prodotto di un pensiero assoluto,  in cui l'uomo assurge al livello di  una specie di divinità, è  invece il prodotto di  domande che sorgono sia dall'esterno sia dall'interno ma sempre attraverso una lunga e faticosa ricerca di senso.  Ogni conquista è dura e dà luogo a nuove domande sempre più complesse. La maggior parte del nostro lavoro di scienziati è  fatto di piccoli passi,  sempre “sulle spalle dei giganti del passato”, e non vedo perché questo non dovrebbe essere vero anche per l'artista.


Ho sentito spesso un mantra sulla nascita dell'arte moderna, che usualmente mette in fila Einstein e la relatività, Freud e l'inconscio,  Picasso e  Les Demoiselles d'Avignon.


Il parallelo non mi ha mai del tutto convinto e comunque non spiega certe banalità  bizzarre dell'arte contemporanea.  Non si può giustificare qualunque idiozia evocando Picasso, che ha realmente consumato una vita artistica all’insegna della sperimentazione.  Il fatto di aver cambiato certe forme di linguaggio non mi sembra una specie di tana libera tutti,  in cui qualunque bizzarria diventa “arte” purché abbia l'imprimatur  della critica  specialista. C'è  anche un aspetto ironico  nelle  avanguardie, che poi come tutte le rivoluzioni diventano le più gelose custodi del nuovo conformismo e le provocazioni   che dovrebbero durare un attimo e invece diventano istituzioni.


Molta arte contemporanea ostenta  una totale autoreferenzialità, prodotta evidentemente da   strane miscele  economiche e culturali.  La mitizzazione di alcune, poche opere,  che attraggono automaticamente il turista nei musei, il mercato stratosferico di alcuni pezzi, che chiaramente risponde a  valori che non hanno più  molto a che vedere con l'arte.  L'assenza di una committenza  indipendente, che in qualche modo giudica il prodotto che gli viene offerto.


Tutto questo avviene peraltro in un periodo storico in cui esiste un immenso mercato  di arti figurative definite minori,  la pubblicità, la televisione, il cinema, ma anche il design  di ogni genere, dalle confezioni  per qualunque tipo di prodotto, alle stoffe, fino alla grafica computerizzata, al design associato al software… e via dicendo.  Ci troviamo di fatto in un periodo d'oro per l'artista, solo che si voglia confrontare con quella complessità del reale, che va ben oltre l’idea familiare dell’arte realista o figurativa. A meno che non consideriamo assolutamente irrinunciabile proprio la pesantissima realtà delle nevrosi, con la sua monotona ripetitività. Dal mio punto di vista, tuttavia, è arrivato il momento, oggi, di curarle, piuttosto che lasciarsi distruggere dalla loro grottesca sterilità, scambiata per genio artistico.


Claudio Procesi---Matematico